Tecnica
Il Cambio Posteriore
di Stefano Orazzini
La nuova frontiera di sviluppo potrebbe essere il cambio elettronico. E’ d’obbligo il condizionale perché anche in passato altre case produttrici hanno provato a introdurlo, ma il lancio si è sempre tradotto in un insuccesso pressoché totale. Sia i professionisti che la grande schiera del movimento cicloamatoriale, ha mostrato grande diffidenza verso l’introduzione dell’elettronica in un componente importante come il cambio.
Mavic, ad esempio, con il suo cambio elettronico Mektronic, presentato in Italia alla fiera di Milano 1999, spiazzò un po' tutti i puristi della meccanica ciclistica: un cambio in perfetta sintonia con il nuovo millennio, con tanto di pulsanti stile videogiochi sulle leve per far correre la catena su e giù per i pignoni.
Funzionava a radiofrequenza con una sorta di ciclocomputer-trasmettitore da fissare al manubrio che, oltre a fornire i dati classici, (velocità, distanza ...), comandava tutto il sistema e inviava al cambio gli impulsi provenienti dalle leve.
Il tutto veniva schermato per evitare ogni tipo di interferenza ed attraverso un codice interno personale si evitava che ... il compagno di fianco cambiasse il nostro rapporto con le sue leve.
L’estetica del Mektronic era tutt’altro che attraente e l’eccessivo uso di materiale plastico per i suoi componenti faceva fuggire non solo i ciclisti più diffidenti.
A distanza di circa 10 anni dagli insuccessi Mavic, ci ha riprovato la Shimano con il Dura Ace Di2, introdotto a ridosso del 2010. Un progetto molto interessante ed eseguito con la consueta precisione nipponica.
Estetica gradevole, affidabilità dei materiali ottima, ma che anche stavolta, a sentire i rumors del mondo delle due ruote, il cambio elettronico sembra destinato a non entrare nei desideri degli appassionati. Alcune limitazioni nell’uso sembrano frenarne la diffusione.
Prima fra tutte, la necessita di ricaricare la batteria ogni 300 km circa, obbligando il ciclista ad una costante manutenzione che alla lunga potrebbe risultare frustrante.
Inoltre va aggiunta la lentezza rispetto ad un cambio tradizionale nel passaggio da un rapporto ad un altro. Il Di2 obbliga ad una velocità costante nel passaggio tra un rapporto ed un altro, mentre con un cambio tradizionale si possono agevolmente scalare 2 o 3 rapporti quasi simultaneamente e ciò comporta una velocità di esecuzione molto inferiore, che in alcuni frangenti concitati di una competizione possono risultare determinanti.
Se a queste due motivazioni aggiungiamo la necessità di dover alloggiare la batteria (solitamente sotto il portaborraccia) sul telaio e le conseguenti modifiche per il passaggio dei fili e un prezzo non proprio economico, si capisce il perché di un successo che non è esploso.